Un imponente portale ligneo intarsiato introduce ad una stanza quadrangolare del convento duecentesco di Sant’Agostino nella città di Carpineto Romano, definita per la sua bellezza Regina dei monti Lepini. “All’improvviso l’acqua cominciò a cadere. Veniva giù dal cielo come quando si versa acqua da un secchio.” [cit. Genesi] – Al centro di questa sala, un cumulo di polvere bianca. Teste emerse che la risacca ha abbandonato in maniera casuale. Tutt’intorno altri elementi che dialogano con lo spazio fatto di colonne e di archi, di nicchie e di prospettive, e parlano piano di taluni mondi possibili. Alessandro Cacciotti, giovane artista carpinetano, con le sue sculture ci trasporta in un universo in bilico tra realtà e sogno, in un paradiso terrestre segnato dal passaggio del Diluvio Universale, perduto e dissoluto.
Mito, antichità e leggenda: storie universali che affiorano corrose dalle profondità, uomini caduti in tentazione e annullati in loro stessi, bellissime fanciulle mitologiche, donne ammalianti ammantate, processioni e ritrovamenti. Tutti galleggiano all’interno di un liquido emotivo nel quale prendere fiato non sempre è possibile. Si procede tra i “corpi” con incedere lento, dimentichi di ogni principio per perdersi nel fluire della melodia d’insieme costellata di messaggi ambivalenti.
Poi, c’è il mare. Il mare è il luogo dell’inconscio e dei fantasmi, il mare porta le eco di Paesi lontani, tutto si amplifica nel mare, i sensi e le percezioni, come una lente d’ingrandimento che permette di coglierne i particolari più minuti. Dal fondo di questo mare emergono reperti, “frammenti” di vite passate, parte di un disegno che, più ampio, li rivela incompiuti solo all’apparenza. Ognuno di loro ha una sua vitalità, una sua fraseologia peculiare, un’armonia particolare.
Dimensione temporale e spaziale si confondono, riproducendo nel presente situazioni già sentite e lasciandone intendere altre non ancora conosciute.
Un’innata capacità di indagare l’ambiguità dell’animo umano contraddistingue Cacciotti, che modella le opere tra plasticità e iconografia. Tramite una costante sperimentazione tecnica imprime nella materia, massiccia e pesante in sostanza ma leggera nella resa, ciò che a parole si può forse definire un logoramento evanescente, che quasi scompare dietro a sé stesso. Un’abile manipolazione nella stratificazione delle patine accende le ombre e i riflessi, li infiamma, li fa vibrare di luce che s’infrange sulle forme annullando visivamente il virtuosismo tecnico, esaltandone il carattere.
È arrivato, il Diluvio Universale – the Flood – passato anche, e andato oltre lasciandosi alle spalle altorilievi, formelle, statue di malta e terracotta, pigmenti, ossidi, angeli e sirene. Una voce dagli abissi risale in superficie – “Poi un giorno, quando smise di piovere, cominciò a splendere il sole.” [cit. Genesi] – e s’abbandona la fisicità in favore del linguaggio silenzioso dell’anima con un unico varco d’entrata, ma con una quantità infinita di uscite possibili.
Il mondo dei sensi è una molecola di polvere
in un torrente di acque invisibili.